16 febbraio 2021, ore 21.15, Sassari.
Siamo a quasi due anni dall’inizio della pandemia, reduci da mesi e mesi di videoconferenze, riunioni su Meet/Zoom/Skype/Teams, videochiamate su Whatsapp con parenti vari, serate passate a googlare “contagi covid Sardegna” o “tutorial Adobe reader” o “moglie Gerry Scotti” o “come inoltrare mail” o “Salvatore Aranzulla” o “vignette e video divertenti per buongiorno”. Abbiamo adesso un bagaglio culturale decisamente più ricco rispetto a quello che avevamo sulle spalle a febbraio 2020, quando se non volevamo avere a che fare con la tecnologia e il digitale, potevamo tranquillamente decidere di girarci dall’altra parte, e continuare a mandare missive per comunicare con qualcuno che non vedevamo regolarmente o semplicemente sperare di vederlo a messa la domenica mattina o il lunedì al mercato di Piazzale Segni davanti al banchetto dei tappeti sardi venduti da Chan, ragazzo di Ovodda amato da tutte le signore di Luna e Sole e Monte Bianchinu. Però da quando il caro Beppe ci ha detto che saremmo dovuti rimanere a casa, “distanti oggi per abbracciarci con più calore, per correre più veloci domani” perché “tutti insieme ce la faremo”, allora niente più messe, niente più mercati, niente più missive e da allora è iniziato un lento ed estenuante processo di alfabetizzazione digitale che ci ha fatto diventare, in nemmeno un anno, quelli che siamo oggi: Individui 2.0.
“Eppure non posso fare a meno di chiedermi se”, scriverebbe a questo punto Carrie Bradshaw, con una sigaretta in bocca, in un chiusino che odora di MS e Cosmopolitan nell’Upper East Side, per sottolineare il punto di svolta del suo articolo che alla fine non è un vero punto di svolta perché non c’è mai nessuna sorpresa in quello che scrive, sappiamo tutti che la finisce sempre col pippone su Mr. Big che non se la fila… Ecco, insomma, io non posso a meno di chiedermi: ma perché dopo tutto questo mia madre ancora non sa accendere il decoder di Sky e sta davanti alla tv, fingendosi impegnata a scrivere qualche messaggio buttando ogni tanto l’occhio alla cucina per controllare se arrivo, aspettando che io la salvi dall’attesa insostenibile di vedere Primo Appuntamento?
“Ma, ma tu non lo sai accendere?”
“Eh… “
“Sì, però devi imparare. Come pensi che si faccia?”
(Due mesi prima abbiamo messo Sky Q, il telecomando è unico e per accendere il decoder bisogna premere velocemente sul pulsante rosso, per accendere la tv bisogna semplicemente premere lo stesso tasto ma più a lungo, processo difficilissimo che le è stato spiegato a più riprese sia da me che da mio fratello). A quel punto lei mi guarda, impaurita, e un po’ mi ha fatto tenerezza perché nei suoi occhi pieni di terrore ho rivisto me, a una delle tante interrogazioni di fisica delle superiori durante le quali mi si chiedeva di fare qualche dimostrazione e io pensavo solo a come farmi venire una colite per uscire da quella situazione. La tenerezza però svanisce nel momento in cui apre la bocca e risponde, con voce spezzata: “Tre?!” Ribadisco: quasi un anno di smart-working, alfabetizzazione digitale e ore di tutorial di Salvatore Aranzulla e io alla domanda “come pensi che si accenda il decoder” mi sento rispondere “Tre”. Che poi: tre cosa? Perché? Riferimento alla santissima trinità? Non ci è dato saperlo e forse è anche meglio così.
Adesso, io non voglio dire che mia madre sia al livello di quegli adulti che fanno le videochiamate e di inquadrano solo la fronte (cosa che ho visto fare da diversi professori che facevano parte della commissione quando io mi sono laureata a distanza) o, peggio, di quelli che parlano come se fosse una telefonata normale quindi davanti alla fotocamera interna del cellulare piazzano il timpano (sempre pulito in maniera minuziosa dall’unghia del mignolo), anzi: sa cosa sono i filtri Instagram, cosa sono Tinder e Grinder, come si usa Meet, come si modificano i pdf e, cosa più importante, mai un buongiornissimo glitterato mi è stato mandato da lei.
Però questa breve conversazione avvenuta qualche mese fa mi ha ricordato molto una storia di Zerocalcare sulla madre che lo telefonava terrorizzata pensando che Google si fosse rotto, e chissà lì fuori quanti figli, nipoti e pronipoti ogni giorno, quando sentono il loro nome invocato con quella particolare tono di voce, modulata in modo che veicoli sia misericordia che tenerezza, si fingono addormentati, impegnati o morti pur di non andare ad assistere l’adulto di turno che cerca di destreggiarsi con qualche device. So che tutti voi che leggete capite di cosa parlo e so che lo capite perché anche voi ogni giorno o quasi vi sentite come Zerocalcare. Io vi sono vicina, non vi sarà di nessun aiuto o conforto, ma io vi sono vicina. Il rapporto tra vecchi e tecnologia, ma anche tra adulti e tecnologia, è un rapporto che per forza di cosa non può che essere conflittuale (come il mio rapporto coi bagni pubblici o come quello tra Enrico Mentana e il povero Paolo Celata, inviato della 7, che viene costantemente punzecchiato e maltrattato da Chicco per non si sa che motivo), nascono in periodi differenti, con ideali e valori differenti, due mondi agli antipodi: è come se nella stessa stanza mettessimo Fabio Fazio e il chihuahua di Paris Hilton, di cosa potrebbero mai parlare e come potrebbero farlo?!
Nonostante, però, la grande frustrazione di chi si trova costretto ad assistere la generazione precedente alla nostra in qualcosa che ha a che fare col mondo digitale, ci sono tre enormi vantaggi a vivere esperienze di questo tipo. Il primo è sentirsi finalmente capaci in qualcosa, il secondo è capire una volta per tutti se si è portati per l’insegnamento, il terzo è avere materiale per fare conversazione con gli amici, o per uscire dall’imbarazzo di quei brutti silenzi da primo appuntamento, per scrivere un articolo quando non si hanno altri argomenti validi. Dai padri che leggono gli articoli di Lercio e pensano che siano veri, ai genitori che si spaventano quando aprono un sito web e spuntano i pop-up e subito chiamano il parroco per far fare un esorcismo al tablet, agli svariati “non ho capito”/”cosa vuol dire”/”chi è?” quando provi a mostrare a uno di loro un meme, a quella faccia meravigliosa che fanno quando cercano di mettere a fuoco un messaggio appena ricevuto provando ad allontanare il più possibile il cellulare: sono tutti episodi degni di essere raccontati e condivisi.
Adesso però ve lo dico con tutta la sincerità e onestà di questo mondo, siete anche liberi di non ascoltarmi e non credere a quello che scrivo, ma io ve lo dico comunque: ridiamo adesso perché a breve saremo noi ad essere derisi dai più giovani.
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