Natali, calcio e cultura

I contatti con l’Italia

A sinistra, in rosso, Natali

Natali ha 27 anni ed è nata a Gerico, è laureata in Scienze motorie e fa parte della Nazionale Femminile di calcio Palestinese.

Grazie all’associazione “Ponti non muri” di Sassari – specchio della realtà palestinese in Sardegna – alla sua grande passione per il calcio e alla sua buona volontà, ha partecipato ad una borsa di studio finanziata dal Ministero degli Affari Esteri attraverso il consolato di Gerico. Per questo motivo la nostra barbara ha iniziato il suo percorso di studi in Sardegna; il Dottorato comprende una serie di studi in campo atletico, tornei con squadre locali e la preparazione delle nuove leve di atleti territoriali. Tuttavia non è la sua unica esperienza in Italia. Infatti, il nostro paese è stato presente nella vita di Natali fin da subito: già dai suoi primi contatti con la Chiesa Cattolica ha potuto conoscere la nostra lingua attraverso le parole di sacerdoti e suore vicini alla sua comunità.

I gruppi Italiani in viaggio in Palestina sono la normalità: molto spesso grazie a gemellaggi con i gruppi scout di Monza e Milano si ritrovava a giocare insieme agli altri bambini e cooperare con loro. L’unico limite che si presentava in modo schematico era la lingua. I francescani infatti, altro non potevano fare se non tradurre ogni gioco e ogni regola imposta, ma questo non sembrava pesare alla comunità di Gerico.

Oltre a questi scambi culturali e di scoutismo, Natali ha visitato la nostra isola in altre due occasioni: nel 2015 si è ritrovata a giocare insieme alla squadra maschile del CUS Sassari calcio a 11 e nel 2016 con la squadra femminile a 5 giocatori della Torres. Attualmente è l’allenatrice dei pulcini del Latte dolce e con passione costruisce il suo sogno. 

L’idea dell’Italia

In Palestina si studia in modo preponderante la cultura asiatica, come in Italia si studia la storia prettamente Europea. L’idea che Natali porta ai nostri microfoni di noi Italiani è per lo più positiva e viene scandita dall’idea di moda e dal calcio: due eccellenze del nostro paese. Veniamo anche soprannominati “Gli Arabi d’Europa” perchè oltre ad essere molto socievoli, tendiamo – secondo la visione esterna – a non rispettare le regole e non arrivare mai con puntualità agli appuntamenti e, in certi casi, come darle torto?

Logo dell’associazione calcistica palestinese

Il calcio femminile: tra difficoltà e soddisfazione

Prima del 2003 non esisteva il calcio femminile in Palestina, l’unico sport accessibile era il Basket. Lo stesso anno, la Federazione nazionale, ha tentato di rafforzare la rosa della squadra femminile di calcio a 11. La prima spinta per la realizzazione della squadra di calcio femminile è stata data dall’Università di Betlemme e in seguito un’altra squadra di club di nome Serreyet Ramallah. L’anno dopo Natali ha partecipato alle selezioni nazionali ed è stata scelta per il suo talento e per la sua tenacia. Le difficoltà tuttavia non mancarono, l’occupazione e la situazione culturale non aiutarono la crescita ma nemmeno la bloccarono; Natali era convinta della sua scelta, voleva fare la calciatrice.

Nel 2006 la svolta: la Coppa d’Asia e le qualificazioni asiatiche. La Coppa delle nazioni Asiatiche è organizzata dall’AFC e comprende l’Asia e da poco tempo anche l’Oceania. Inizialmente la Federcalcio Palestinese non esisteva e quando nacque dovette affrontare difficoltà economiche ingenti e la repulsione dal punto di vista culturale alla figura della “donna che gioca a calcio”.

In realtà questa visione non è tanto distante da quella presente nel mondo, non è facile e in alcune realtà non è accettabile che una donna giochi a calcio. Ancor di più è facile pensare alla difficoltà della donna calciatrice nei paesi islamici, pensiero dedicato all’unica figura della donna come madre, buona moglie e ottima compagnia. Si esprime anche il problema del giocare con i pantaloncini davanti a persone di sesso maschile, in Palestina questo pensiero è più che presente. La parte che desta più preoccupazione e che ha portato ad una difficoltà maggiore alla nostra Natali è l’occupazione israeliana. Per ogni spostamento, per organizzare qualsiasi torneo o per la buona riuscita di corsi di aggiornamento per gli allenatori c’è la necessità del permesso israeliano. Questa situazione non fa che aggravare la promozione del calcio palestinese femminile e rallenta la crescita del progetto. Si parla in questo senso, ora più che mai, del diritto basilare di spostamento, del diritto al gioco e della necessità di cambiare la tradizione che ormai opprime da troppi anni il progredire di nuove possibilità.  

Nel mondo, tuttavia, il calcio femminile è una realtà in crescita dimostrata anche dagli ascolti dei mondiali. Si comincia a parlare così – argomento trattato fortemente anche in Italia – del tetto salariale delle calciatrici con l’obiettivo della parità tra i generi. Tante le proteste: dalla nazionale Americana e Italiana alla realtà araba, colpita ancora una volta dalla disparità di genere. 

Vivere il conflitto nel 2021: l’informazione

Nel corso del podcast che mette in risalto il secondo “Barbaro” della rubrica ci si è soffermati inevitabilmente anche sulla “questione israelo-palestinese” e la sua strumentalizzazione, manipolazione e sensibilizzazione del tema. 

L’argomento tocca la nostra protagonista in modo importante, si parla della sua terra e delle difficoltà che affronta da quando ha memoria. A tal proposito bisogna sottolineare che dopo 73 anni di occupazione non si parla più di un conflitto ma, appunto, di “questione” israelo-palestinese. Questione legata al lato legale, culturale, politico e solo in un secondo momento religioso. Questione spesso strumentalizzata e manipolata dai media televisivi: quel che racconta Natali – la nostra protagonista – non si ferma ai bombardamenti di Hamas ma offre una visione di più ampio raggio. Quel che riporta è l’indicibile violenza nella quale sono morte 25 persone, nella moschea di Al Aqsa, all’interno dell’ Haram Sarif – luogo sacro per i musulmani – che ha fatto teatro dell’irruzione delle Forze difensive Israeliane tra la gente in preghiera a colpi di pallottole di gomma, granate stordenti e lacrimogeni. Oltre a questo ha riferito, con lo sguardo serio di chi queste situazioni le ha davanti quotidianamente, della violenza con cui famiglie intere sono state sfrattate da un giorno all’altro dalle case di famiglia dalle Forze armate israeliane con la sola colpa di essere Palestinesi e di vivere in modo pacifico sulla loro terra e nella casa di famiglia. La protesta di Natali traspare immediatamente e allo stesso tempo ha voluto fare il punto su quella che è stata l’informazione occidentale. Pochissimi i giornali e altrettanto obsoleti i media che hanno parlato con termini adeguati di quel che sta accadendo ancora oggi, a distanza di 73 anni, in Palestina. 

Il nostro pensiero va ai morti collaterali del conflitto: i civili. 

Ryszard Kapuściński

„La storia è spesso il risultato di una mancanza di riflessione. È il frutto bastardo della stupidità umana, parto dello smarrimento, dell’idiozia e della pazzia.“

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