Un viaggio alcolico – culturale
Bentornati, cari viaggiatori alcolici! Vi annuncio che oggi il nostro viaggio farà un’interessante tappa nel mondo dell’arte. Posate il bicchiere, indossate la muta, la maschera e le bombole: oggi ci immergiamo negli abissi del nostro mare sardo, ma non solo, faremo un salto anche in Puglia.
Oggi è il turno di una terra affacciata sul Mar Adriatico e Mar Ionio, che fa da tacco allo stivale italiano.
La prima tappa sarà a Taranto, ma prima di arrivarci devo portarvi ad alcuni secoli fa e presentarvi il protagonista di oggi.
La Pinna Nobilis
Avete mai sentito parlare del bisso marino?
Immergiamoci. Alla vostra destra potete ammirare la Pinna Nobilis, già dal suo nome non c’è da stupirsi se è considerata la più grande conchiglia o nacchera del Mediterraneo. Io mi permetto di considerarla una “conchiglia artista”! Il bisso è una sostanza simile a filamenti che la stessa utilizza per ancorarsi al fondale. Da questa si produce la cosiddetta “seta del mare”, che richiede lunghi procedimenti di lavorazione che hanno tanto a che fare con la magia, elemento caro agli artisti.
Le origini
Degli studi hanno potuto rilevare che già dall’Antico Testamento si parlava di bisso. Così è arrivato fino ai greci e sugli abiti dei più famosi re e addirittura di Cleopatra, considerato un tessuto di lusso, molto pregiato e raro. Non mancò nemmeno nelle esposizioni commerciali di Londra e Parigi nel XIX secolo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la produzione cominciò a scarseggiare. Un tesoro destinato a rimanere del mare, se non fosse per chi in seguito ne ha fatto diventare un vero patrimonio culturale, come Taranto e soprattutto Sant’Antioco in Sardegna.
Se le vostre dita non si sono ancora raggrinzite, ne approfitto per qualche curiosità. E se vi dicessi che della nostra artista marina ne parlava anche Aristotele in “Storia degli animali”? E chi se non Jules Verne nel 1870, in Ventimila leghe sotto i mari, poteva citare il bisso:
“Indossai alla svelta i miei abiti di bisso… Gli feci sapere che erano intessuti di quei filamenti lucidi e serici che fissano alle rocce le nacchere […]”

Il bisso di Taranto
Taranto, nell’epoca classica, era il centro della sua lavorazione. Note erano le tarantinidie, delle vesti femminili lucenti e colorate, tipiche caratteristiche del bisso.
Nella città pugliese, nei tempi antichi, la sua estrazione avveniva con uno strumento inventato proprio dai pescatori del luogo: il pernilego, formato da una sorta di due artigli che permettevano di afferrare la conchiglia e con una rotazione estrarla dal fondale.
Ma altrove si utilizzava anche una cordicella, che una volta legata alla conchiglia e tirata dalla barca, permetteva la fuoriuscita di tutti i filamenti.
I fibrosi bioccoli raccolti subivano una serie di lavaggi in acqua dolce, per 12 giorni.
Un secondo trattamento consisteva in un bagno in urea di vacca che schiariva le fibre e ne esaltava la lucentezza, questo prima dell’utilizzo del succo di limone.
Successivamente si passava ad un lavaggio in erba saponaria e si proseguiva con l’asciugatura all’ombra. Della fase di filatura delle fibre se ne occupavano le ragazze più giovani, servivano dita sensibili e delicate. L’ultima fase era la colorazione dei filati, che avveniva con il color porpora ricavato dalle ghiandole di molluschi.
Fu Monsignor Giuseppe Capecelatro, arcivescovo dal 1778 al 1836, a donare un lascito dei suoi approfonditi studi della Pinna Nobilis a Taranto, in un suo breve trattato.
Oggi, a testimonianza della particolare manifattura del bisso di Taranto, si possono trovare numerose creazioni sparse per il mondo, come per esempio un paio di guanti donati al re Federico Guglielmo II, custoditi al Museum für Naturkunde di Berlino.
Il bisso sardo
Torniamo in Sardegna. La leggenda narra che il primo maestro di bisso dell’isola sia stato una donna, Berenice di Cilicia, la nobile ebrea che innamoratasi dell’imperatore romano Tito, avrebbe trascorso il resto della sua vita in esilio sull’isola di Sant’Antioco quando si lasciarono. Ed è qui che la stessa ha lasciato in dono la tradizione. Ma oggi, proprio a Sant’Antioco, abbiamo la fortuna di avere una grande donna che porta avanti questa particolare arte. Sto parlando di Chiara Vigo, l’unico Maestro europeo del bisso che ancora lavora con cura questo tesoro marino. Preziosa eredità di sua nonna Leonilde Mereu. Lei stessa si immerge a 13 metri di profondità per raccogliere i filamenti del mollusco. Ed è qui che possiamo parlare di magia, perché la sua tecnica di lavorazione va oltre le nostre conoscenze, supera l’ordinario e chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerla, può confermare il suo essere speciale. Gode di una notorietà internazionale indossata con umiltà nelle sue vesti da sacerdotessa del bisso, come voglio permettermi di definirla. Ogni anno (quando era possibile), ospita tantissimi curiosi, provenienti addirittura dalla Svizzera, Australia, Francia e non solo, nel Museo-laboratorio del bisso. Le è stato riconosciuto il Premio Un bosco per Kyoto per il rispetto dell’ambiente, e nel 2005, la sua arte è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Le sue creazioni tessili e di ricamo sono esposte in musei prestigiosi come il Louvre e il British Museum, mentre al Museo Nazionale di Washington si può trovare una rara cravatta in bisso regalata al presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton.
Uno dei riti più suggestivi di Chiara Vigo, oltre la preziosa pazienza con cui le sue mani filano il bisso fino a farlo diventare dorato, è la preghiera al mare che ogni giorno recita prima di immergersi.
“Ponente, Levante, Maestro e Grecale
Prendete la mia anima e buttatela nel fondale
Che sia la mia vita per essere, pregare e tessere
Per ogni gente che da me va e da me viene
Senza tempo, senza nome, senza colore, senza confini, senza denaro
In nome del Leone dell’anima mia e dello Spirito eterno così sarà”.

Ci sarebbe tanto altro da dire su questa grande arte della quale la Sardegna va fiera, ma l’ossigeno delle nostre bombole è ormai terminato. Sono stati scritti alcuni libri sull’argomento. Per ultimo ho voluto lasciarvi questa frase del maestro del bisso sardo che fa riflettere molto. Con la speranza di avervi incuriosito, ci leggiamo alla prossima tappa.
Cin Cin, alla salute, nostra e del mare!
“Il tempo della maestria è il tempo di una vita“
Ma non è finita qui: se vi piace “Linea blu” vi consiglio di andare subito a vedere, su You Tube, o ascoltare su Spreaker il podcast! Ho tentato ironicamente di riproporvi una puntata del famoso programma di Donatella Bianchi, che seguo da anni! Ci sarò riuscita? Fatemelo sapere!
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Articolo di Dalila R. Speziga

Questo articolo ha preso spunto da alcune fonti online:
https://www.hotelgabbianoazzurro.com/it/Blog/BYSSUS
https://comune-info.net/larte-millenaria-della-seta-del-mare/
Foto gentilmente concesse da Anna Altana, scattate nel 2018 alla mostra degli antichi mestieri femminili, in occasione della Giornata Internazionale della Donna organizzata dalla F.I.D.A.P.A. sezione di Porto Torres.
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