Tecnologia e pandemia

Il rapporto tra l’uomo e la tecnologia attraversa un momento cruciale nel solco tracciato dal nuovo virus. Il nostro compito consiste nell’avere la consapevolezza che ogni cambiamento d’epoca necessita di essere orientato con metodo ed applicazioni eticamente condivise. Partiamo da un dato di fatto: durante i primi mesi di Pandemia da Covid-19 siamo stati sottoposti ad un uso massiccio di alcuni apparati tecnologici per relazionarci con gli altri e per svolgere le nostre consuete occupazioni quotidiane (il lavoro, la scuola e l’università). Questo nuovo modo di vivere ha fatto emergere una consapevolezza sopita fin dagli anni Novanta quando si giunse alla famosa “rivoluzione digitale”: la tecnologia dischiude un nuovo ambiente che necessita di essere abitato. Il Concetto di “ambiente”, in un tempo in cui il principio ecologico muove ogni azione morale nella società, è importante per cogliere alcuni risvolti antropologici generati dallo stretto rapporto con computer, tablet e smartphone. Per questo motivo dobbiamo chiederci: che tipo di ambiente è quello digitale? Si potrebbe analizzare la questione all’interno di tre aspetti: la novità dell’elemento tecnologico; la relazione come elemento costitutivo dell’uomo e il rischio di omologazione della persona umana.

La novità dell’elemento tecnologico

La prima novità a cui si può pensare consiste nel principio di efficienza stessa dell’elemento tecnologico poiché soddisfa determinate richieste di capacità prestazionali programmate dall’uomo per far svolgere alla macchina alcuni lavori come calcoli, archiviazione e trasmissione dei dati personali. Tuttavia, il fatto che sia l’uomo stesso a programmare l’elemento tecnologico induce a pensare che non esista una differenza tra programmare un PC e produrre un martello ovvero un utensile tecnico. Infatti, così come il computer viene programmato in vista di uno scopo, allo stesso modo anche il martello viene costruito per uno scopo. Dunque, dove sta la differenza? Nel secondo caso il martello viene prodotto grazie alla tecnica in vista di uno scopo esterno (come, ad esempio appendere un chiodo od il semplice martellare). Il primo caso invece è più complesso poiché la programmazione del PC (o qualunque elemento tecnologico) presuppone meccanismi di “interazione” ed “integrazione” propri della tecnologia. Infatti, la grande novità della tecnologia e in generale dell’ambiente digitale risiede proprio in questo ovvero nella consapevolezza che entriamo in relazione con un sistema che interagisce con noi rispondendo agli input che gli abbiamo assegnato. La vera innovazione consiste in questo: aver generato apparati tecnologici in grado di risponderci. In questo si coglie la particolare natura “relazionale” dell’essere umano.

La relazione come elemento costitutivo dell’uomo

È nota la definizione aristotelica per cui l’uomo è “animale sociale” ed “essere dotato di parola”. Perciò, qualunque cosa inventata dall’uomo avrà nell’intimo una “scintilla di relazione”. Tuttavia, l’uomo stesso, nel cammino della Storia, non ha mai vissuto la sua relazionalità in modo solitario ed intimo. Infatti, tale essenza della sua umanità è stata rivelata come elemento necessario, fondamentale ed indispensabile per la comprensione del suo modo particolare di stare nel mondo: con le persone, con l’ambiente circostante, con Dio. Ma, allora, se questa natura umana è rimasta immutata, che cosa è cambiato? In primo luogo, sono cambiati i contesti comunicativi e quindi, di conseguenza, anche le modalità comunicative. La relazione nasce, inizialmente, nel momento della ‘Chiamata alla Vita’. L’atto del “chiamare per nome” (una persona, un’emozione o una relazione) indica questa realtà primordiale a cui mai ci potremmo abituare e nei confronti della quale siamo stimolati a condurre un esercizio di discernimento costante. Successivamente, con la comparsa della scrittura l’uomo ha sviluppato nuove capacità e modi di comunicare nel tempo le proprie esperienze personali e le proprie teorie: così sono nate le lettere, le grandi opere, le biblioteche ed in generale tutte le istituzioni culturali. Il sapere, alimentato dalla scrittura e dal genio creativo, è potuto così fiorire per tutta l’Età Moderna. Da circa trent’anni, invece, stiamo assistendo ad un ulteriore mutamento in cui la scrittura si fa “dato informatico”. Pensiamo, ad esempio all’utilizzo dei primi PC: ogni segnale di connessione emesso dal proprio apparecchio; ogni e-mail, chiamata o immagine inviata diventa “dato” immesso e tracciato nella rete. Da questo punto di vista tutti i dati apparirebbero simili, quasi “identici” gli uni con gli altri. Tuttavia, ci è ancora concesso di “personalizzare” il dato in virtù di un profilo informatico. È questo il caso dei Social Network come Facebook e Twitter, ai quali si sono aggiunte altre piattaforme come Instagram. La grande novità di questi nuovi ambienti virtuali consisteva nella costituzione di una agorà virtuale, un luogo di incontro e di confronto. È successo effettivamente? La storia ci insegna, invece, che la ‘condivisione’ non ha lo stesso significato della ‘partecipazione’, che il virtuale non è il reale ma soprattutto che il rischio di utilizzare i social per plasmare e omogeneizzare la massa, attraverso il pensiero unico, comporta la diretta e totale eliminazione di quella particolare dimensione intima della relazione umana: la profondità.

Il rischio di omologazione della persona umana

L’Uomo, dunque, è chiamato ad un uso corretto e responsabile delle piattaforme social, unitamente alla consapevolezza del rischio di perdita della propria unicità personale. Questa perdita di unicità, infatti, si palesa nel momento in cui noi assumiamo pensieri, parole, gesti, stili di vita prodotti da “falsi miti” e “falsi eroi” creati appositamente per annichilire qualunque sano contributo del nostro spirito critico. Di questo è indice il concetto attuale di “successo”, la figura del “personaggio famoso” inteso come ‘individuo esasperato ma affascinante’, i “piaceri” come ‘elementi indispensabili per una vita senza Regola’. Omologarsi significa, pertanto, unirsi anonimamente ad altri individui per formare una massa cava, senza sostanza. Mostrare la propria unicità, invece, significa essere persone che danno il proprio contributo, che è originale ed inedito, all’interno della propria comunità locale attraverso una partecipazione attiva. Da qui capiamo che il nuovo ambiente digitale può diventare una occasione ulteriore per promuovere la persona umana a partire dalla propria identità ed appartenenza. Ciò che è importante è, infine, condividere sani stili di vita che diventano principio animatore dei nostri luoghi quotidiani come i comuni che, ci ricorda la nostra Costituzione e la nostra storia, sono la prima realtà del Paese.

Di questo e di molto altro parliamo nel podcast che abbiamo realizzato per voi: lo potete trovare su Spreaker, oppure accedervi dai rimandi Spotify e Youtube qui sotto. Non dimenticate di seguirci sui nostri canali Instagram e Facebook per non perdervi nemmeno una tappa del nostro viaggio nelle galassie del mondo digital!

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